Il latte può essere “trasformato” in formaggio attraverso uno specifico processo di caseificazione che vive di passaggi ben precisi che vale la pena conoscere, se solo si è un minimo interessati alla materia. Il latte crudo è una materia prima che presenta grande versatilità e a seconda di come viene lavorato può garantire una moltitudine di prodotti di grande qualità, di vario genere (non solo formaggi, dunque). In questo articolo però ci occuperemo solo ed esclusivamente della trasformazione del latte crudo in formaggio, approfondendo allora le fasi del processo di caseificazione.
Processo di caseificazione: cosa sapere
In generale possiamo dire che la lavorazione del latte ha una durata di circa 24 ore; la stagionatura invece, detta anche maturazione della cagliata, può durare da pochi giorni ad anni, addirittura. La lavorazione del latte varia a seconda della tipologia di formaggio che si vuole produrre. Andiamo a scoprire allora quali sono le fasi del processo di produzione del formaggio.
Processo di caseificazione: le fasi iniziali
La prima fase consiste nel sistemare il latte in una vasca a caldaia: è qui che avviene tutto il processo di caseificazione. Il latte utilizzato può essere di due tipi ovvero crudo e pastorizzato. Il latte crudo è quello che non ha subìto alcun tipo di trattamento fisico o chimico prima della coagulazione e che dunque è in grado di mantenere intatte tutte le sue caratteristiche organolettiche; quello pastorizzato invece è il latte che è stato riscaldato a 72°C per 15 secondi. Qualsiasi sia il tipo di latte utilizzato per la produzione di formaggio, si arriva alla seconda fase, quella che prevede l’aggiunta degli starter e del caglio. Entrando un po’ più nello specifico, si intende con starter microbico un composto caratterizzato principalmente dalla presenza di batteri lattici (sotto forma di lattoinnesto o sieroinnesto naturali o fermenti selezionati); oltre allo starter al latte viene aggiunto il caglio e si avvia la cosiddetta coagulazione che, a seconda del tipo di coagulante usato, si può distinguere in presamica o acida.
La rottura della cagliata
Uno dei passaggi fondamentali nel procedimento di produzione del formaggio è la rottura della cagliata. Che cosa significa? Che la massa gelatinosa che si è inevitabilmente formata viene rotta per favorire la fuoriuscita del siero. Questo passaggio non viene effettuato a mani nude ma si usa un apposito strumento chiamato “spino tagliacagliata” che è costituito da alcuni fili in acciaio o lamine taglienti che vanno appunto a rompere il caglio.
La cagliata viene quindi “frantumata” in granuli di dimensioni diverse a seconda del tipo di formaggio che si vuole ottenere ma anche del clima: in estate, ad esempio, le temperature più elevate obbligano a produrre una cagliata che in gergo viene definita “più spinta” e che serve a evitare uno dei rischi più frequenti ovvero una eccessiva acidificazione. La grandezza dei granuli, come dicevamo, dipende poi dalla tipologia di formaggio che si vuole andare a produrre: è chiaro che più i granuli sono piccoli e maggiormente è favorito lo spurgo del siero e questo è un processo preferibile nella lavorazione dei formaggi a pasta dura piuttosto che in quella dei formaggi freschi. Abbiamo parlato del siero e della sua fuoriuscita dal caglio. Vale la pena sottolineare che se viene raccolto, può essere sottoposto a cottura per la produzione della celebre ricotta, formaggio molto leggero e poco calorico che viene spesso considerato nelle diete.
Estrazione della cagliata, cottura e formatura
L’estrazione della cagliata e la sua conseguente cottura è un passaggio importante nel processo di caseificazione. La cottura serve a stimolare l’acidificazione e l’ulteriore spurgo del siero e avviene a temperatura diversa, a seconda del formaggio che si vuole produrre. A grandi linee possiamo dire che la cottura avviene tra i 38 e i 48°C per i formaggi a pasta semicotta e tra i 48 e i 60°C per i formaggi a pasta cotta. Anche le tempistiche della cottura variano da un quarto d’ora a un’ora e mezzo. Anche in questo caso la tipologia di formaggio che si vuole ottenere è una variabile determinante: per i formaggi semiduri si opta per una cottura più breve, per quelli duri per una più dilatata nel tempo. Messo a punto questo passaggio, si passa alla cosiddetta formatura: la cagliata viene cioè posta in delle apposite formelle che servono a eliminare del tutto il siero che potrebbe non essere stato eliminato nei passaggi precedenti.
L’eliminazione del siero avviene in modo diverso a seconda che si tratti formaggi a pasta molle e freschi oppure a pasta dura: per i primi si opta per una fase di stufatura in locali caldo-umidi e questo procedimento facilita la produzione di acido lattico e il conseguente spurgo del siero rimanente, per i secondi si sceglie invece una fase di riposo in cui appunto le forme vengono fatte riposare, aumentando la loro acidità. E’ in questo modo che si facilita lo spurgo del siero.
Salatura: a secco o in salamoia?
La fase di salatura può essere di due tipi: a secco o in salamoia. Con la salatura a secco si cospargono le forme di sale, con quella in salamoia le forme di formaggio vengono letteralmente immerse in soluzioni di NaCl al 18-24%: le tempistiche variano a seconda del formaggio che si vuole produrre. I formaggi freschi dopo la salatura vengono messi in vendita, quelli stagionati verranno invece sottoposti a stagionatura.